Le parole e i dubbi di Lucia e di Elena nei commenti di ieri mi hanno fatto venire in mente, scusate la lunghezza, alcune cose.
Primo: come si fa la ringhiera?
Ogni figlio e ogni periodo ne vuole una diversa, io credo, e si costruisce con la pazienza e la costanza, ogni volta bisogna esserci con i nostri no e nostri sì, salvo le famose eccezioni, che devono però restare tali.
Secondo: la ringhiera si costruisce provando, facendola.
Perchè è provando che ci si accorge, come Lucia con Vittoria, se il livello di autonomia che si è concesso è quello che serve, o se invece il parapetto è troppo stretto, e soffoca, o troppo largo e allora disorienta e può essere anche pericoloso. E ogni genitore continuamente lo aggiusta, con il proprio sentire valuta, anche se ogni tanto si pensa che gli altri ne sappiano più di noi e allora si svaluta il proprio istinto e ci si sente incapaci, ed è proprio lì che la balaustra diventa invece debole, pensando di copiare quelle altrui. Questo vuol dire che guardarsi intorno può essere controproducente?
Io credo dipenda da quale punto di vista lo facciamo, da dove partiamo. Possiamo allargare le nostre conoscenze, i nostri pensieri, i nostri riferimenti, ma non sostituire le nostre emozioni con quelle altrui anche se spesso ci sembrano migliori delle nostre!
Se abbiamo chiaro cosa noi abbiamo, cosa vogliamo e cosa cerchiamo tutto diventa più semplice.
E allora terzo: dove andiamo con i nostri figli? A cosa puntiamo?
Sembra ovvio, ma devo dire che quando lessi questa cosa mi resi conto che… non me ne ero mai resa conto!
Qual è in fondo il nostro compito ultimo di genitori?
Ecco il nostro obiettivo, mi arrivò come una bomba nella sua semplicità, è l’autonomia.
Quello che dobbiamo fare come genitori, ma anche educatori, maestri di vita e non, è aiutare, stimolare i nostri figli a diventare persone autonome.
Una filosofa, ma non ricordo purtroppo chi, ha detto questa cosa bellissima: la maternità è l’unica forma di relazione di potere dove l’obiettivo è la perdita della relazione stessa, come relazione di potere. Nel senso che il vero compito di una madre è di rendere il figlio o la figlia indipendente da lei.
Non me ne vogliano i padri, ma se la mamma non si sgancia, dopo la prima fase simbiotica dei primi mesi, non lascia spazio neanche al padre.
La famiglia non segue la regola “squadra vincente non si cambia”, ma il suo esatto opposto, per funzionare bisogna che cambi, continuamente e raggiunge il suo scopo quando i figli se ne vanno per la loro strada, creando situazioni invece di interdipendenza, cioè di scambio tra soggetti adulti, e quindi autonomi.
E l’autonomia non arriva a diciotto anni o con il lavoro o il matrimonio, ma inizia con il primo passo, il mangiare da soli, l’imparare a lavarsi e a vestirsi.
Ricordo una fase quando era alla scuola materna, in cui mia figlia voleva ogni mattina decidere come vestirsi, inclusi cappotti o magliette a mezze maniche a prescindere dalla stagione. Io adottai, anche per velocizzare, questo sistema: le prendevo due capi che poteva indossare e lei tra quelle alternative faceva la sua scelta. Non ha più smesso e sceglie ormai da tempo da sola i suoi abiti, anche nei negozi, ma se ritengo che quello che vuole non sia adatto perché anche se le piace, tanto se ne rende conto, poi si sentirebbe a disagio ad indossarlo perché troppo da grande, non le do il permesso di comprarlo.
Per ora continua a funzionare, chissà quando la ringhiera non servirà più e rimarrà invece il piacere di condividere e confrontarsi, magari scontrarsi.
Perchè il rispetto delle proprie diversità, se accettato, non allontana, ma arricchisce, permette di volersi bene perché quello che occorre sempre, non è detto che sia un consiglio o un aiuto, neanche pensarla alla stessa maniera, che quando si cresce ci si distacca dai valori dei genitori, ma l’affetto e l’amore, le uniche forme di “droghe”, le uniche cose che fanno star bene, dico io a mia figlia, da cui è bene essere dipendente.
Ecco ho detto tutto.
Autonomia
luglio 2, 2009 di caterinacomi
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Ciao Caterina,
le parole della filosofa sono belle, meravigliose e mi trovano pienamente d’accordo, ma allora io, cosa ho che non va?!
…. non sai quanti pianti e quante angosce per inserire il mio piccolo alla scuola materna, soffrivo nel vedere gli altri bambini che salutavano la mamma con un bacio e si avviavano in classe sorridenti, mentre il mio mi veniva letteralmente strappato dal collo.
Bhè, sai cosa è successo in questo ultimo anno di scuola? Lui non voleva più che io lo accompagnassi alla porta, anzi voleva che sostassi con la macchina più lontano possibile dal cancello e si rifiutava di darmi il bacio, perchè lui ormai era grande e solo i bimbi piccoli baciano le mamme e si fanno accompagnare alla porta.
Quando ha fatto per la prima volta questa cosa ho detto : finalmente ha trovato il suo spazio nel “mondo scuola” tra i suoi amici e i suoi lavori, ma alla lunga…. mi manca la sua richiesta di affetto.