Ieri è iniziato l’Avvento e in casa nostra abbiamo, anzi ho, messo su le musiche natalizie che da ora fino alla fine delle feste farò sorbire a tutti quanti. I miei figli sbuffano, mio marito tace, ma in fondo amano le nostre tradizioni natalizie, quei piccoli riti che prima ancora che i ragazzi nascessero io e mio marito abbiamo iniziato. Domani inizieremo il calendario dell’Avvento, quest’anno hanno ancora voluto quello con le cioccolatine, che toccano un giorno per uno a chi apre la finestrina di turno. Lo prendo al discount e con 85 centesimi il secondo rito è a posto.
Credo che l’attesa, specie quando si è bambini, sia ciò che renda questo periodo speciale e un po’ magico, già una festa, e per questo non transigo e non dimentico mai le cose da fare.
Vorrei regalare anche a voi, e a me, una piccola sensazione di attesa, per cui prometto solennemente che la vigilia di Natale metterò qui la prima e la mia storia preferita che ho scritto tra le tante per questo periodo: l’Armida.
Magari potrebbe diventare un piccolo regalo a qualcuno, o anche solo al vostro cuore.
Nel frattempo, per chiarirmi meglio sull ‘argomento, eccone un’altra.
La vigilia
Quella sera alle otto, davanti al camino, con la fiamma che scoppiettava, eravamo tutti lì seduti, in silenzio.
Nessuno aveva il coraggio di produrre un qualsiasi suono, un alito, un movimento, quasi un pensiero, per paura di coprire quel segnale tanto atteso, di sovrapporsi proprio in quel momento a quel tintinnio che da un anno, ma in fondo da sempre aspettavamo.
La fiamma rischiarava l’oscurità della stanza, tutto era lasciato volutamente in penombra per non imbarazzarlo, per non spaventare la sua timidezza, per fargli capire che lo stavamo aspettando, al buio e in silenzio.
E in quell’atmosfera magica, dove ognuno di noi appariva come una sagoma in controluce, un personaggio delle fiabe, tutto sarebbe potuto succedere.
Per quanto i nostri occhi si girassero continuamente verso la finestra, il più delle volte ci ritrovavamo a fissare a fiamma e la brace luminosa.
Com’è che la fiamma un momento è in quel punto e poi è altrove e quindi lì non è più?
Si muove o appare e scompare in punti diversi, ognuno a se stante? E’ la fiamma o sono le fiamme?
Comunque il suo calore, quello che anche agli occhi arriva, toglieva il senso ad ogni domanda. Meno che ad una. Quando arriverà?
E così tra la fiamma e la finestra, in silenzio e all’oscurità i minuti passavano.
Non poteva esserci tributo d’amore più intenso di quella cocciutaggine che non ci permetteva di alzarci e andare altrove.
No, no. Quest’anno potrebbe essere la volta buona e noi staremo qui ancora, ad attenderlo, vicini e quieti, lasciando che il tempo scorra su di noi.
Verso la fine della serata, per non addormentarci, cantavamo piano piano, lasciando un orecchio libero di rivolgersi all’esterno, le solite nenie, i canti di tutti gli anni.
E riuscivamo a fare tutto insieme, dormicchiare già un poco, canticchiare e ascoltare il silenzio fuori, ed aspettare.
Quando le campane suonavano e annunciavano la fine della vigilia, l’inizio della festa e che tutto ora si sarebbe compiuto, capivamo che non sarebbe più venuto, neanche quest’anno.
Ci alzavamo e dandoci i soliti baci di augurio, andavamo finalmente a dormire con il suono delle nenie e delle campane nelle orecchie, con l’immagine della fiamma e del silenzio nella penombra negli occhi che finalmente si chiudevano.
E con il cuore caldo di quelle ore di intima attesa, vissuta ognuno da solo eppure tutti insieme, nell’armonia del tempo e con la stessa domanda, per fortuna, ancora irrisolta:
quando, quando arriverà Babbo Natale?
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