Vorrei, o almeno avrei voluto, che questo mio spazio potesse rappresentare per me innanzitutto un piccolo porto sicuro, quel luogo dove trovare una parola semplice di saggezza, quella capacità di infondere sicurezza e tranquillità, la stessa che spesso mi riempie dopo aver lasciato che le storie e le parole si compiano dentro e fuori dalla mia testa.
Ma non sono così forte e serena, mi scoraggio, mi spavento, mi condanno e non sono all’altezza della gioia che vorrei provare e trasmettere.
Mi ritrovo a distanza di dieci giorni dalla fine di un mese tanto intenso e con un finale tanto spiazzante, a non saper dove trovare la forza di recuperare, di riflettere, elaborare ed andare oltre.
L’ultimo, proprio l’ultimo laboratorio dei cinque, un record per me, fatti in un mese, è andato male. Per la prima volta non è uscita nessuna storia, l’incanto non si è creato e io mi sono sentita responsabile e impotente allo stesso tempo, in colpa e incapace.
Cosa si fa quando ci si sente scoraggiati?
Una storia era emersa nel disastroso laboratorio, inventata però solo da me che non riuscivo soprattutto a coinvolgere un bambino che disturbava e che invece in quel momento si era fermato ad ascoltare. Ma non riuscii lì a finire la storia, ero scoraggiata o spaventata, ancora non lo so bene. Proverò a finirla ora, magari comprenderò quale poteva essere in quel momento la soluzione per uscire da quella tristezza e pesantezza che ci aveva avvolti tutti e forse riprenderò un po’ di fiducia in me stessa, in questa non giovane eppure inesperta e insicura psicologa colorata.
La storia del villaggio
Nonostante fosse giorno di festa, quel giorno al villaggio erano tutti tristi. Nessuno aveva voglia di ridere o scherzare perchè i bambini non volevano giocare e nella piazza si trovavano solo facce spente e musi lunghi.
Nessun ragazzino aveva il coraggio di giocare perchè sarebbe potuto arrivare lui, il principino.
E nessun ragazzino poteva così opporsi, od escluderlo, nè batterlo, nè essere se stesso perchè lui, il piccolo figlio del re che dal suo alto castello sovrastava il villaggio, quando scendeva giù in piazza annunciando che voleva giocare si portava dietro le sue guardie personali e tutto il suo orgoglio e minacciava chiunque lo contrariasse di far tagliare la testa a lui e a tutta la sua famiglia. Da allora tutti i giochi si erano sciupati. E il bello è che anche lui, il principino, non era contento, sentiva il bisogno di giocare, si sentiva solo e voleva degli amici, ma non sapeva come fare. Non gli restava che starsene alla finestra della sua pienissima stanza a guardare giù, fin quando il desiderio lo portava ad uscire per unirsi a quei giochi che da lassù sembravano bellissimi, per poi tornarsene, dopo che niente era andato come lui aveva creduto e desiderato, desolato e solo di nuovo alla sua finestra.
Tutti così erano infelici, ma nessuno sapeva cosa fare.
Finchè un giorno la figlia del fabbro del villaggio decise di fare un tentativo. Aspettò che arrivasse il principino in una delle sue odiate visite e quando già la situazione stava diventando pesante e i giochi sempre più faticosi lei si fece avanti e propose ai bambini di raccontare loro una storia e senza chiedere permessi facendo però un profondo inchino al principe iniziò a raccontare.
“C’era una volta un grosso mostro che aveva sempre fame e che mangiava i pensieri delle persone perchè quello era il suo cibo. Quando incontrava le persone gli bastava girargli intorno e trovava il punto da cui uscivano i pensieri, dalla testa, dagli occhi, dalle mani, dalle orecchie, dalla bocca, certe volte dai piedi. Allora si avvicinava e apriva la bocca e i pensieri gli arrivavano dritti alla pancia. Per quanti ne mangiasse e la pancia gli crescesse continuava però ad avere fame e non poteva mai fermarsi a riposare, doveva cercare nuovi pensieri. Le persone una volta che venivano loro così rubati i pensieri, reagivano in modi diversi, c’era chi diventava distratto, chi si sentiva alleggerito e allegro, chi invece triste o addirittura spaventato, fino a quando non ne formulavano di nuovi, allora diventavano di nuovo se stessi e la caccia ricominciava. Ovviamente questo mostro non poteva essere visto, così tutti erano convinti che fosse normale cambiare certe volte così repentinamente d’umore e trovarsi così vuoti, senza pensieri.
Un giorno il mostro aveva così tanta fame che si ritrovò in mezzo ad un gruppo di bambini molto tristi seduti in una piazza che non giocavano e anche se lui preferiva i pensieri degli adulti che erano più grossi e saziavano di più, si decise a mangiare quelli di quei bambini. E fu così che fece una grande scoperta. Quando quei bambini si ritrovarono senza quei loro pensieri tristi si guardarono tutti intorno e poi si presero per mano. Poi senza dire niente si girarono e aprendo il cerchio misero il mostro in mezzo e iniziarono a girargli intorno sorridendo. Potevano vederlo! Era la prima volta che gli capitava e non sapeva se esserne contento o spaventato, poteva essere pericoloso? Pian piano i bambini cominciarono a cantare una canzone e il mostro non potè fare a meno che mettersi a ballonzolare finchè, piano piano si avvicinò al cerchio e si mise al posto di una bambina che si spostò invece nel centro iniziando lei a ballare a sua volta. E così fecero questo nuovo gioco e il mostro scoprì che per la prima volta da tanto, non si ricordava neanche da quanto, non sentiva fame. Aveva scoperto che i pensieri lo saziavano per pochi minuti, mentre i giochi dei bambini lo riempivano e lo facevano sentire ben nutrito. Così da quel giorno i bambini del villaggio aspettavano il mostro che si presentava, all’inizio timido e timoroso poi sempre più entusiasta e allegro per nutrirsi dei loro giochi e quando venivano loro pensieri tristi sapevano che lui se li sarebbe mangiati aiutandoli così a ritrovare la voglia di giocare. Così poi loro, in cambio, giocando, avrebbero aiutato lui. Da quel giorno quel mostro non si allontanò più da quel villaggio e da quei bambini che inventarono per lui tanti e tanti giochi.”
Dopo aver finito la storia la fanciulla guardò i bambini del villaggio e disse, come parlando tra sè -Chissà se ci sarà anche qui in giro un mostro mangia-pensieri magari anche lui invisibile, ma con una gran fame? Proviamo a giocare? Così può darsi che arriverà!-
E i bambini, curiosi di vedere il mostro, superarono la loro tristezza e ritrovarono la forza di provare a giocare, anche il principe. Ma questa volta quando, al solito, iniziò a disturbare il gioco con le sue richieste la fanciulla lo rimproverò dicendogli seria, ma non intimorita -No maestà, bisogna seguire le regole, altrimenti il gioco non viene bene e nessun mostro verrà-.
Fu in questo modo che finalmente anche il principe imparò a giocare e anche se mai nessun mostro si presentò nella piazza da allora l’allegria tornò in quel villaggio e tra tutti i suoi bambini, poveri o principi che fossero.
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