“Sbarre squadrate davanti agli occhi, la cella in cima alla torre spazia sulla valle e lontana, a riquadri, posso vedere la mia casa, ne distinguo il tetto, ma il fumo dal camino non esce più. Cosa sarà stato dei miei figli? Certo non sono più lì.
Non è male stare quassù, lontano dalle grida, dagli insulti, dalle risate cattive e dalle allusioni a quello che sarà di me, del mio corpo, della mia vita, che è finita questa mattina quando alle prime luci dell’alba sono venuti a prendermi, strappandomi ai miei figli.
Non è male quassù, vicino alle nuvole, vicino al cielo, a riquadri, ma sempre immenso, sempre infinito e sempre imperscrutabile: dove saranno? Fuggiti nel bosco? O gli avranno portati in qualche casa, dove poter crescere sudandosi ogni boccone, ogni notte passata per terra, ma al riparo e al sicuro, i dannati figli della strega? Resteranno vivi? Se vedessi il fumo nel camino, un filo alzarsi e muoversi al vento leggero di questa estate infinita. Ma tutto resta immobile, tutto tace.
Non so dove altro guardare, cos’altro aspettare, un filo di fumo, un fuoco che dia calore e cibo, che mi dica che che una parte di me vivrà, che loro saranno, che dovrò sopportare solo la mia di morte, l’aria densa di fumo e il calore insopportabile. Per loro questo cielo azzurro, un cielo senza riquadri, un’aria pulita, un sole che scalda, un fuoco familiare e amico, un fuoco buono che dia loro la vita, per affrontare domani il fuoco cattivo e formidabile che si prenderà la mia.”
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