Eccomi qua, compito fatto.
Con pazienza e un po’ di tempo, come da richiesta, o quasi, ho guardato tutti i pensieri scritti in questo spazio e ho raccolto sotto un’unica categoria le parole che riguardano mia figlia, la mia primogenita, la ragazza, tredici anni a settembre.
Subito dopo aver pubblicato il libro, con la sua prima media inoltrata, le ripetevo spesso che ormai le storie per fare le cose per lei non andavano più bene, che avrei dovuto scrivere un’altro libro e soprattutto trovare nuove soluzioni.
Perchè si possa crescere insieme, perchè l’amore prevalga sempre sulle tensioni, sulla paura, sulle incomprensioni, sulla rabbia e la frustrazione.
Tutti ingredienti poco gradevoli eppure indispensabili perchè lei si stacchi dal mondo dell’infanzia ed impari a fare a meno del mio intervento, del mio riferimento, del mio aprirle le strade e buttarsi, provarci, entusiasmarsi, allontanarsi e avvicinarsi altrove, lontano da me.
Come un cantiere aperto con il nastro rosso e bianco dei lavori in corso e non mi fido di quei ragazzi che non discutono, con cui non c’è mai conflitto nè tensione, non si costruisce senza cambiare, senza rinnovare, deve essere permesso anche distruggere, buttare via il vecchio.
Il meglio che io possa fare è stare su questa giostra e farne parte, accettare questa nuova sfida e avventura, sbagliando, sempre, comunque, nonostante lei e le sue qualità, contro di lei, insieme a lei. Quanto ancora ho da sbagliare con mia figlia, siamo appena agli inizi, quanta meravigliosa fatica dovrà ancora sudare e quanta ne farà durare a me, che ho intenzione di stare ben abbarbicata al bordo della sua vita, là dov’è il mio posto, continuando, tra litigi e confidenze, a raccontarvi del modo in cui, io come mamma, lei come persona, queste due Piccole donne crescono.
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